Pace vuol dire partecipazione, comunità, ascolto. Le parole della sindaca Raggi a Madrid

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20 aprile 2017

Far sì che le città siano in primo luogo comunità, abbattere qualsiasi barriera (non solo fisica), promuovere la collaborazione dei cittadini, ascoltarli, usare al meglio web e nuove tecnologie per costruire democrazia partecipata: questo, afferma la sindaca Virginia Raggi, va fatto per ridare pace alle città spesso colpite da violenza e abusi. La prima cittadina di Roma l’ha detto a Madrid, intervenendo al Foro Mundial sobre Violencia Urbanas y Educacion para la Convivencia y la Paz, sessione plenaria Gobernanza para la paz. Di seguito il discorso pronunciato dalla Sindaca.

"Cosa possiamo fare per la pace? E' una domanda difficile alla quale dobbiamo però rispondere. Abbiamo una grande forza: possiamo agire come una comunità. Ma per farlo dobbiamo creare un forte senso di condivisione e partecipazione. Le nostre città devono essere il luogo nel quale le persone possono sentirsi parte di un progetto e possono collaborare per la crescita comune. Ma in particolare devono essere il luogo nel quale nessuno deve sentirsi escluso. Il disagio, le ingiustizie, l’indifferenza sono la causa di ogni tipo di violenza. Avere pace significa non solo non fare la guerra, ma soprattutto avere una società nella quale prepotenze e abusi non esistono. E' un obiettivo molto ambizioso che richiederà sicuramente tempo.

A Roma abbiamo preso un impegno con i cittadini. Abbiamo detto loro che nessuno deve rimanere indietro. Significa che tutti i cittadini devono poter accedere a tutti i servizi e avere tutti uguali opportunità. Significa che tutti hanno il diritto di dire la propria e di essere ascoltati. Significa avere uguali basi di partenza. E' una sfida soprattutto culturale che implica rispetto per la vita, per la libertà, giustizia, tolleranza, uguaglianza tra uomo e donna. Dobbiamo abbattere le barriere, non solo fisiche, che all'interno delle nostre città ci dividono. Barriere che fanno intendere che ci siano posti migliori di altri; persone che hanno più diritto rispetto agli altri.

Lo ripeto: dobbiamo tornare ad immaginare le città come comunità. Se non ci impegniamo tutti a realizzarlo, i posti in cui viviamo rischiano di trasformarsi lentamente in luoghi di violenza. Chi mai avrebbe immaginato anni fa che il terrorismo avrebbe portato bombe e morte nelle nostre strade? Eppure questa è una delle nostre sfide. Non possiamo far finta di non vedere cosa accade. La sicurezza è un diritto fondamentale. E' questa una ulteriore sfida alla quale siamo chiamati.

Come possiamo fare? Nessuno ha una risposta già pronta e nessuno può presentare un esempio già realizzato. Passo dopo passo, però, tutti stiamo lavorando nella stessa direzione. Serve l’ascolto di tutti, soprattutto di chi finora non ha avuto voce. Le nuove tecnologie ci mettono a disposizione strumenti incredibili che fino a pochi anni fa erano inimmaginabili. I cittadini possono mettersi direttamente in contatto con le amministrazioni attraverso un pc, possono far sentire la loro voce.

A Roma, così come avviene qui a Madrid, stiamo chiedendo la collaborazione dei cittadini per fare scelte di governo attraverso consultazioni online. Stiamo modificando lo Statuto cittadino, una sorta di Costituzione della città, inserendo i referendum propositivi e consultivi; il bilancio partecipativo: le petizioni popolari elettroniche e consultazioni online. Lo abbiamo chiamato 'diritto alla partecipazione democratica elettronica'.

Ma non vogliamo lasciare indietro chi non ha un computer. Allora stiamo facendo corsi per anziani e per chiunque lo desideri per insegnare l’uso del pc, per superare il digital divide. Così come stiamo andando sul territorio per incontrare i nostri cittadini con una iniziativa che si chiama RomaAscoltaRoma. Le Istituzioni con i suoi rappresentanti vanno nei mercati, nelle strade, nelle biblioteche ad ascoltare. Non per parlare o dire cosa fare alle persone ma soltanto per ascoltare, per raccogliere proposte, idee, consigli. L’obiettivo è ricreare il senso di unione.

E’ per questo che a Roma, a settembre, ospiteremo in collaborazione con il Vaticano la prima edizione di una maratona interreligiosa che lungo il suo tragitto attraverserà tutti i principali luoghi di culto della città e terminerà in piazza San Pietro. L’abbiamo chiamata “Via Pacis”: parteciperanno atleti di tutto il mondo e di tutte le religioni. Vogliamo far capire che la convivenza è possibile. Anzi può essere un momento di festa.

Va stabilito un nuovo patto con le persone: ascolto ma, nessuno fraintenda, anche rispetto delle regole. Vivere insieme in un rapporto di giustizia e di solidarietà è un impegno senza sosta. La pace si fonda sul rispetto di tutti. Escludere qualcuno significa porre le basi per una ingiustizia. E l’ingiustizia e le diseguaglianze sono alla base della violenza. E su questo punto vorrei fare un’altra riflessione: l’impossibilità di accedere ugualmente all’acqua e al cibo o di poter aspirare ad avere una casa non è una ingiustizia? Le diseguaglianze tra donne è uomini non sono una ingiustizia? Queste cause possiamo e dobbiamo rimuoverle per educare alla pace.

'Le città devono trasformarsi in laboratori di cultura e di pace', affermava un intellettuale italiano di nome Ernesto Balducci sottolineando che 'esse devono sorpassare la corazza delle sovranità statali per restaurare la solidarietà in una dimensione planetaria. Esse sono chiamate a questa grande, pacifica rivoluzione'.

Davvero dobbiamo riportare le nostre città a dialogare tra loro. Oggi, qui a Madrid - tra l'altro ringrazio le sindache Manuela Carmena e Anne Hidalgo per aver organizzato questo evento - ci sono tantissimi sindaci e rappresentanti delle principali istituzioni globali che si occupano di pace. E proprio i sindaci possono superare quelle barriere che a volte si creano tra uno Stato e l'altro. Proprio perché siamo più a stretto contatto con le persone. Creare una rete di città può favorire i processi di pace.

Il desiderio di pace, d'altronde, è innato nell’uomo. E' insito nella nostra natura. Ma questo, evidentemente, non può bastare. Dobbiamo impegnarci per cambiare. Il fatto che oggi siamo qui proprio per discutere di questi temi fa intendere che abbiamo tutti lo stesso obiettivo e siamo già una piccola comunità. Insisto su questo concetto perché senza comunità non esisterebbero le nostre città. O almeno è questo il motivo per il quale sono nate migliaia di anni fa: stare insieme. Le nostre città devono basarsi sul rispetto della dignità umana, sul senso di accoglienza nei confronti degli altri e sul rispetto delle regole di convivenza.

Non sarà un percorso breve ma abbiamo l’opportunità di intraprenderlo. Insieme, come comunità, potremo realizzarlo più velocemente. Grazie a tutti".

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